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lunedì 2 novembre 2009


Per gentile concessione dell'Unità abbiamo pensato di pubblicare questo articolo a firma di Pietro Greco apparso sul quotidiano del 26 Giugno 2001 come contributo italiano collegato al tema della biodiversità
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Sviluppo senza crescita? Si può. Qualità e sostenibilità dell'economia in una "Lettera aperta agli economisti"

Abbattiamo il mito ormai insostenibile della crescita materiale illimitata. E costruiamo un progetto politico fondato su un obiettivo sociale ed economico più maturo: lo sviluppo umano. E' questa, nella sua essenza, la proposta che un gruppo di intellettuali della sinistra attento ai temi dell'ambiente esprime in un libro, Lettera aperta agli economisti. Crescita e crisi ecologica, appena uscito per i tipi della Manifestolibri a cura di Carla Ravaioli. Si tratta di un dibattito che si è sviluppato nel corso di alcuni mesi sulle pagine del Manifesto. La proposta avanzata dal gruppo di intellettuali è forse opinabile nel merito (e qualcuno, per la verità, la rifiuta addirittura con sdegno), ma è quanto mai tempestiva, opportuna e lucida nel metodo. Il problema dello «sviluppo sostenibile o, se volete, della «qualità dello sviluppo» è infatti più che mai attuale. E' il tema che sottende ai rapporti economici e politici più caldi tra Europa e Stati Uniti. E'il tema che sottende ai rapporti tra Nord e Sud del mondo. E', in buona sostanza, il tema che sottende agi incontri del G8 e alle proteste dei variegato «popolo di Seattle». Sarà il tema su cui si impernierà la Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo che si terrà nel mese di settembre del 2002 a Johannesburg, in Sud Africa, dieci anni dopo Rio de Janeiro. Insomma, è di gran lunga il tema principale nell'agenda politica internazionale. Il problema dello «sviluppo sostenibile» nasce da tre condizioni di fatto ormai difficili da contestare. Primo: lo stato dell'ambiente globale e di molti ambienti locali sta peggiorando. La temperatura media dei pianeta sta aumentando. I deserti avanzano. Le foreste arretrano. L'acqua potabile è una risorsa che diventa sempre più rara. Una parte cospicua di questo cambiamento ambientale globale è frutto della dissipazione dei capitali naturali prodotti sia per depletion (uso delle risorse) che per pollution (inquinamento) dalle attività umane. Le conseguenze di questi cambiamenti ecologici hanno effetti sociali sempre più evidenti. In breve: già oggi peggiorano la qualità della vita di centinaia di milioni di uomini. Soprattutto nel Terzo Mondo, ma non solo nel Terzo Mondo. Secondo aumenta la ricchezza prodotta nel mondo. Nel 2000 il prodotto interno lordo del pianeta è stato di 42.ooo miliardi di dollari- 7 volte più che nel 1950. Ma aumentano anche le disuguaglianze economiche e sociali. L'80% di questa ricchezza è a disposizione del 20% della popolazione mondiale. Il reddito pro capite della metà dell'umanità non supera i due dollari al giorno; 1,9 miliardi di persone vivono con un solo dollaro al giorno. Cresce la differenza tra paesi ricchi e paesi poveri. Mentre ricchezze enormi si concentrano nelle mani di una elite sempre più ristretta. Il bilancio annuale di una singola grande azienda multinazionale come la General Motors (164 miliardi di dollari) supera di circa il 25% quello del più ricco paese dell'Africa sub sahariana, il Sud Africa (129 miliardi di dollari). Le duecento persone più ricche del pianeta dispongono di più risorse dei due miliardi di persone più povere. Terzo: l'attuale modello di sviluppo fondato sulla crescita della produzione e dei consumi di beni materiali in un'economia di mercato risulta sia ecologicamente sia socialmente insostenibile. Le reazioni a questa situazione obiettiva sono le più svariate. Ma è possibile ridurle a tre tipologie principali. La prima è quella che, nei fatti, nega che i tre dati siano strettamente collegati. Molti economisti e, soprattutto, molti politici continuano a credere che non c'è sviluppo possibile senza crescita. La insostenibilità sociale può essere recuperata solo attraverso un costante aumento dei beni materiali prodotti. Solo una maggiore ricchezza è compatibile con una migliore distribuzione della ricchezza. In questo quadro, i vincoli ambientali vanno certo tenuti in conto, ma sono subordinati alla priorità assoluta della crescita. Una seconda posizione (che è già minoritaria) non nega che i tre dati siano strettamente correlati. Nega che ci sia bisogno di un cambiamento del modello di sviluppo. Molti economisti attenti ai problemi dell'ambiente propongono la «crescita compatibile». Sostengono, cioè, che la crescita nell'ambito di un'economia di mercato non può né deve essere fermata; può essere però resa compatibile con l'ambiente e la giustizia sociale. In particolare la compatibilità tra crescita economica e ambiente sarebbe resa possibile dalla diminuzione dell'intensità di materia e dell'intensità di energia in un'economia di mercato avanzata, infatti, per produrre un dollaro di ricchezza occorre sempre meno materia e occorre sempre meno energia. La terza posizione, quella espressa dagli estensori della lettera aperta agli economisti, sostiene la necessità inderogabile di cambiare il modello economico e propone, quindi, uno «sviluppo senza crescita». La diminuzione dell'intensità di materia e di energia infatti non è sufficiente a rendere ecologicamente sostenibile la crescita economica perché l'aumento rapidissimo dei consumi sta determinando comunque un aumento della quantità di materia e di energia usati dall'uomo, ovvero un aumento dell'«impronta umana» sull'ambiente. Inoltre il modello fondato sul valore assoluto del mercato sta dimostrando di essere incapace di ridistribuire in modo equo la ricchezza e recuperare l'insostenibilità sociale della crescita. Insomma, se vogliamo perseguire la sostenibilità ecologica e sociale dell'economia dobbiamo abbattere il mito della crescita. E sostituirlo con nuovi valori. Impresa titanica, anche se senza alternative. Che si espone a un rischio, puntualmente rilevato dall'economista Augusto Graziani. Indulgere a una visione neobucolica e sostanzialmente conservatrice: di ritorno a un improbabile «stato di natura» che finirebbe per cristallizzare lo status quo e condannare la gran parte dell'umanità a condizioni di sottosviluppo perpetuo. La sostenibilità ambientale verrebbe perseguita a scapito della sostenibilità sociale. Questo rischio esiste. E può essere evitato solo assumendo una visione dinamica del rapporto tra uomo e (resto della) natura, che è un rapporto coevolutivo. In altri termini, chi persegue lo «sviluppo senza crescita» socialmente equo deve avere una visione critica, ma progressiva della conoscenza scientifica e dell'innovazione tecnologica. Resta il problema di quali valori, progressivi è possibile porre al centro dei progetti di sviluppo, una volta cancellato il valore della crescita. Esiste un simile valore progressivo? Da molto tempo un gruppo di economisti, alcuni dei quali collaboratori delle Nazioni Unite, formulano critiche serrate al vecchio modo, quantitativo, di misurare la ricchezza delle nazioni. E ne propongono uno più qualitativo. Non misuriamo, dicono, solo quanti beni materiali hanno i cittadini di una nazione (calcolo sintetizzato nel PIL, il prodotto interno lordo). Ma misuriamo anche il modo in cui questi beni sono usati. Cerchiamo di misurare la ricchezza di una nazione anche sulla base di indici immateriali come la cultura, la salute, la qualità dell'ambiente, la qualità della vita. L'indicazione è interessante. Perché propone un quadro in cui l'economia cessa di essere un fine e (ri)diventa il mezzo per migliorare la condizione umana. In questa visione assume un senso compiuto disaccoppiare la crescita dallo sviluppo. Se cerchiamo il benessere complessivo dell'uomo, scrive Paolo Sylos Labini, in una società avanzata la crescita dei beni materiali non è più così importante, una volta soddisfatte le esigenze fondamentali. In una società avanzata che ha soddisfatto le esigenze fondamentali di beni materiali dei suoi cittadini lo sviluppo dell'uomo può essere perseguito attraverso la ricerca di uno stato immateriale di benessere: la salute, la cultura, la qualità della vita. In questa visione dello sviluppo è contenuta la sostenibilità sociale (è prioritario fornire tutti i cittadini dei beni materiali fondamentali) ed è contenuta la sostenibilità ambientale (stato stazionario dei consumi di materia/energia, attenzione alla qualità dell'ambiente quale aspetto primario della qualità della vita). Gli estensori della lettera aperta invitano gli economisti a dare sostanza scientifica a questo progetto. 0, come si direbbe in gergo, a internalizzare i vincoli economici. Ma il progetto, a ben vedere, non riguarda solo gli economisti. Il progetto riguarda la politica. E, in particolare, la politica della sinistra. Perché offre alla sinistra una griglia potente per interpretare e cercare di modificare il mondo nell'era della globalizzazione. Forse questa offerta merita di essere attentamente valutata e dibattuta.

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